Marcatura “a uomo” o difendere “a zona”, per quanto riguarda i giovani calciatori, sono da sempre oggetto di discussione per gli addetti ai lavori.
Marcare “a uomo” significa avere un avversario fisso da seguire.
Più l'avversario si avvicina alla nostra porta (o alla palla) e più la marcatura dovrà essere stretta.
Se, viceversa, l'avversario si trova lontano dalla palla, la marcatura sarà più larga, quindi meno asfissiante.; questo concetto è vero in linea generale, perché oggi ci sono alcuni allenatori che chiedono di seguire l’uomo per tutto il campo.
Marcare “a zona” invece significa che ogni difensore ha una zona del campo in cui agire.
L’Italia è sempre stata considerata la patria, oltre che dei portieri, anche dei difensori.
Fino al periodo che va dalla fine del primo decennio all’inizio del secondo degli anni 2000 possiamo ammettere che il punto forte delle squadre italiane e della nazionale era la difesa, non solo intesa come fase di gioco, ma proprio come uomini.
Nei vari mondiali disputati dall’Italia siamo passati da specialisti della marcatura come Vierchowood, Ferri, De agostini, Costacurta, Maldini, Nesta, Cannavaro, Materazzi, Barzagli (quest’ultimi quattro Campioni del Mondo 2006) a difensori con caratteristiche diverse Acerbi, Bastoni, Bonucci, Chiellini (l’ultimo vero marcatore italiano) e Toloi Campioni d’Europa 2021.
Nella rinnovata nazionale di Spalletti poi, i 3 difensori centrali (Di Lorenzo, Bastoni, Calafiori) sono tutto fuorché marcatori.
La frase ricorrente, in riferimento a questo tema è: “Oggigiorno non si sa più marcare a uomo”.
Quali potrebbe essere state le cause di questo cambiamento?
Troppi stranieri nel nostro campionato? Fino agli inizi degli anni 2000 arrivavano solo difensori fuoriclasse come Krol, Passarella, Aldair, F. Couto, Samuel, Stam, il resto erano italiani; oggi nelle squadre italiane di vertice i difensori italiani scarseggiano.
Nascita della difesa a zona con Sacchi? Un tempo si diceva ai ragazzi di seguire l’avversario fino negli spogliatoi, poi con Sacchi si è diffuso il gioco ‘a zona’; oggi l’attenzione è principalmente rivolta all’organizzazione tattica difensiva, ai raddoppi, alle diagonali.
La colpa è delle nuove regole? Passaggi vietati al portiere, regola dell’ultimo uomo; tutelano gli attaccanti ma penalizzano la fase difensiva; una volta si poteva strappare la maglia di Maradona, oggi ti ammoniscono solo se l’attaccante sente il fiato sul collo del difensore.
L’evoluzione del gioco? Sistemi fluidi e flessibilità tattica hanno portato un cambiamento da struttura statica a dinamica, facendo diventare superate le vecchie definizioni che inquadravano l’atteggiamento di un undici nella disposizione iniziale.
La colpa è dei settori giovanili? È un discorso di didattica specifica abbandonata, di scarsa applicazione da parte degli allenatori, i quali ultimamente preferiscono dedicarsi alla tattica collettiva più che a quella individuale. Non esistono più i buoni maestri di una volta; oggi si spreca tempo ad insegnare la tattica di squadra e si perdono di vista la tattica individuale e la tecnica di base.
Proviamo a capire le caratteristiche delle due marcature:
Marcatura “a uomo”:
Variabili: avversario – porta - palla
Organizzazione difensiva semplificata: interazione tra 2 giocatori (difendente e attaccante). L’unico problema è il diretto avversario.
Lo spazio di competenza è quello a disposizione dell’avversario diretto
A uomo l’interpretazione difensiva ha caratteristiche precise, definite, comprensibili e con responsabilità di intervento predeterminate; il difendente è in condizione di trovare la giusta posizione e rispondere ad ogni situazione con relative variazioni, ha certezze di comportamento, conosce i propri doveri e comprende a quali stimoli reagire. L’intervento dell’allenatore si baserà soprattutto sul comportamento difensivo del singolo.
Marcatura “a zona”:
Variabili: palla – avversario – porta – spazio
Organizzazione difensiva più complessa: bisogna relazionarsi con i compagni di reparto
Fondamentale la capacità di orientamento in campo
Spazi pericolosi ridotti per vicinanza delle linee
Vista la variabilità dei compiti richiesti al difendente l’allenatore deve cercare di rendere i comportamenti semplici, riconoscibili da tutti ed attuabili.
I compiti individuali sono abbastanza definibili: palla coperta o palla scoperta, man mano che la palla si avvicina alla nostra porta, si stringe la marcatura sull’avversario.
Si marca quindi in modo diverso? Assolutamente no.
Non c’è differenza di comportamento quando si deve di marcare direttamente un avversario, sia a uomo, sia a zona.
I parametri di riferimento sono sempre palla-porta-avversario.
La differenza è che a uomo la distanza dall’avversario viene determinata dal difensore, perché, trovandosi sempre nei pressi dell’avversario, il difensore stringe o allenta la marcatura a seconda della distanza della palla ed in base alla situazione; è sempre pronto ad anticipare e lottare per la conquista della palla.
A zona il difensore non è sempre in condizione di poter determinare nell’immediato la distanza dall’avversario, perché oltre ai parametri della marcatura a uomo si devono aggiungere il fatto di non dover e poter seguire l’avversario per tutto il campo.
L’osservare il comportamento dei compagni, il garantire la copertura del proprio spazio, oltre alla variabile avversari che possono muoversi e inserirsi liberamente.
Nella “zona” diventa fondamentale lavorare anche su attenzione e concentrazione mentale.
Decidere se "marcare” o “coprire" e la distanza iniziale dall’avversario diretto rischiano di far apparire diverso l’atteggiamento nel marcare individualmente; in realtà quando si decide di "attaccarsi" all’avversario le regole sono sempre le stesse.
La difficoltà della “zona” è resa dal fatto che la marcatura cambia in base a posizione e movimento di compagni e/o avversari e la zona in cui mi trovo e che in partenza non sempre si è già in stretta marcatura; questi ed altri fattori fanno pensare che oggi non si sia più capaci a marcare individualmente.
Marcello Lippi nel 2005, prima del successo Mondiale, lanciava un appello ai tecnici dei settori giovanili perché dedicassero una grande attenzione alla formazione dei difensori:
“La nostra è stata da sempre la patria dei grandi marcatori a uomo, oggi invece vediamo che i giovani crescono preoccupandosi solo di mantenere la linea difensiva, “di salire” ed in tantissime circostanze di mettere gli avversari in fuori gioco; non crescono più giovani capaci di marcare, di prendere in consegna un attaccante in determinate zone di loro competenza ma, soprattutto, nelle fasi di palla inattiva, vedo, invece, sempre più giocatori, magari veloci e rapidi a rimediare errori propri o dei propri compagni di reparto, ma incapaci in determinate circostanze di effettuare una efficace marcatura a uomo; è più facile saper marcare a uomo e poi passare a marcare a zona che il contrario; ecco perché è importante che i ragazzi non si allenino soltanto su di una specificità; spero che gli allenatori curino molto l’aspetto della marcatura a uomo con esercitazioni specifiche, come è usanza fare nei paesi dove da sempre è grande la tradizione del gioco a zona”.
Conclusioni:
NON si può affermare che a causa della marcatura a zona si sia persa l’abilità nella marcatura “a uomo”, ma che certamente è cambiata la didattica.
L’allenatore deve evidenziare e allenare in modo collettivo le variabili comuni, semplificandole
L’allenatore deve continuare sul lavoro individuale dell’1:1 nelle varie situazioni di gioco
L’allenatore NON deve privilegiare una delle due situazioni (“a uomo” o “a zona”), esse sono interdipendenti e necessarie.
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